37, l'Anno della Discesa

A 37 anni, racconto il mio anno di trasformazione: dalla decisione di lasciare l'azienda di famiglia alla nascita di Ad Limen Consulting, attraverso sfide personali, rinascita professionale e la riscoperta del valore della discesa.

Oggi spengo 37 candeline.

Questo è stato l’anno più intenso, difficile e ricco di senso della mia vita.

Se devo scegliere una parola che più di tutte contraddistingue questo anno, scelgo discesa.

É stato un anno in cui ho scelto di scendere. Avrei voluto anche risalire, ma si sta bene anche in basso. E il basso non finisce mai, il basso della frustrazione, il basso della rabbia repressa, il basso della vergogna e il basso del giudizio altrui.

In questo anno ho imparato a scegliere. Ho imparato a modulare emozioni troppo grandi da tenere dentro eppure troppo dolorose da esprimere. E a volte le ho espresse, forse troppo spesso per gli altri, e troppo poco per me.

Quando vai in basso impari a vedere la sofferenza degli altri, a capire cosa è la vera ricchezza. Eppure, mi sento ancora troppo pieno di me dà riuscire a distinguere bene.

In queste parole, vorrei perciò raccogliere quello che quest’anno mi ha portato. Lo scrivo per me, ma lo rendo pubblico se ci fosse anche solo una persona che volesse sapere qualcosa su quest’anno dove ho cambiato parecchio e sulle motivazioni che mi spingono.

21 febbraio 2024

Un gruppo piuttosto bizzarro di persone entra dentro il Mercato Coperto di Ravenna. A quanto pare la sera le bancarelle chiudono e si lascia spazio solo per i ristoranti, per cui è il mio compleanno e decidiamo di fermarci a mangiare su un tavolone al centro dell’edificio, a mangiare pesce. Il pesce è ottimo, ma destreggiarsi tra due cani, 2 figlie piccole e una mamma in carrozzina non è proprio facile.

Ho mal digerito le bizze per avere una piadina al ristorante di Emma e per fortuna trovare anche aperto il ristorante delle piadine al mercato coperto. Ma non ho molto goduto il vino, ho goduto poco il mangiare, peraltro ottimo, e l’atmosfera meravigliosa.

Porterò con me i ricordi di questi due giorni di follia, per portare mamma a Ravenna con la mia famiglia, per farle assaporare la vita di una famiglia troppo bizzarra per raccontarla.

Ma questi giorni hanno fatto esplodere il mio dolore, un dolore che mi portavo dentro e che non mi faceva essere lucido, tanto da a un certo punto andare in tilt completo, seduto su un dissuasore a forma di panettone in piazza del popolo, mentre il mondo intorno andava avanti e io ero in una sorta di trance. Con Sara che teneva due cani che tirerebbero facilmente la slitta di Babbo Natale, con le bimbe che osservavano e con mia madre che soffriva del mio stesso dolore.

Ancora non sapevo quello che sarebbe successo e come avrei curato la mia sofferenza, ma quel giorno ho capito che qualcosa dovevo fare.

L’aria di primavera e gli armadi che si puliscono

É nella primavera successiva che si manifesta l’evento più importante della mia vita, professionale e non solo. Ad aprile, annuncio a mio zio, principale socio dell’azienda di famiglia di cui ero anche amministratore delegato di una delle società, della volontà di “mettermi a disposizione”, cioè di rimettere il mio mandato e di lasciare in mano a loro di decidere. E subito dopo, di aver capito che non sarei tornato indietro da questa decisione.

Ci sono tante motivazioni su questa scelta, in cui quella punta di depressione in cui stavo cadendo, o magari era solo un burnout pesante, e che avevo cominciato a curare, rappresenta sicuramente il motore per agire.

Ho dato tanto e ho imparato tanto in questi 10 anni di lavoro nell’azienda di famiglia. Un’azienda di livello, che esisteva prima di me ed esisterà dopo, perché ha un prodotto valido e una guida solida. In quella stessa azienda dove ho tentato di costruire la mia storia, e che allo stesso tempo ha tentato di modificare la mia essenza, facendomi credere di non essere abbastanza. Di non essere quello che avrei dovuto essere. Sicuramente, questa sofferenza è solo mia, nel senso che solo io posso provare un misto tra affetto familiare, impegno professionale e voglia di costruire qualcosa che vada oltre i secoli, così da patire così tanto. Probabilmente quello che io provo potrà essere contraddetto e spiegato in tanti modo, ero abituato a ricevere tante, generose, frequenti, gratuite spiegazioni.

Ma quando l’azienda deve passare attraverso cambiamenti profondi, io che vado a insegnare la gestione del cambiamento, so che prima di tutto occorre creare una coalizione forte. E nulla rende più forte una coalizione dal dover far fronte a un cambio al vertice. Questo è il motivo principale per cui, di comune accordo, abbiamo deciso che un sacrificio era necessario per fare un passo deciso in una direzione o in un’altra.

Durante la primavera il mio ruolo è passato da Chief Executive Officer a Equity Partner. Non ho trovato un nome migliore per definire il mio essere socio, finalmente, anche se senza nessun privilegio, ruolo che ho inseguito per tanti anni e che è stato accolto con una tale indifferenza dalla compagine sociale da farmi capire che in tutto questo io sarei stato sempre l’organo indigesto che rompeva le scatole. E nemmeno percepito come di valore.

È lì che si è rotto il vaso, in una sala riunioni più preoccupata che decisa, in congratulazioni mai arrivate e nel senso di smarrimento che le vicissitudini familiari ci avrebbero dato nei mesi successivi. Perché la nostra famiglia ha sofferto il dolore sordo, urlato e di nuovo silente. Ha sofferto la fine di una vita che ha combattuto il valzer della vita per tanto tempo e proprio lì, in quella sofferenza, sono emersi dei valori fondanti. Come l’usare pensiero critico, come costruire ragionamenti su dati e come il gestire con uno sguardo all’evoluzione e uno alla concretezza. Non ho accettato la derisione, non ho accettato la potatura. Oppure l’ho ingoiata e mi ha permesso di ripartire.

È in questa situazione precaria che giusto 3 giorni dopo quel momento sul dissuasore a Ravenna, scopriamo che aspettiamo, di nuovo, un figlio. É una scintilla che non posso dimenticare, e una bussola per le decisioni che ho preso in seguito.

Come unica fonte di reddito della famiglia, con una situazione certo non florida, il 26 marzo apro la partita IVA. E depenno uno degli obiettivi della mia vita. Avevo sempre pensato di gestire insieme i due mondi, ma non era destino e quindi spingo nella direzione della nuova realtà: la consulenza. Passo dall’altra parte della barricata, come mi dirà una delle persone nuove e importanti per me che ho conosciuto quest’anno. Scelgo di mettermi in proprio per la flessibilità. Andare a lavorare altrove, continuare a fare la persona che viene da fuori a sistemare le aziende dopo tanti anni, non avrebbe curato la mia malattia, per cui rifiuto alcune proposte e decido di azzerare tutto.

Faccio una lista delle persone che mi avrebbero aiutato e chiedo di lasciare una testimonianza, racconto in anteprima quello che avrei fatto e sento ascolto e curiosità. Mi viene una sorta di frizzante volontà a sentire la spinta che ricevo, persone che mi apprezzano per quello che hanno conosciuto. E allo stesso tempo, sento una voce che mi tira per la giacca, che mi dice che non ho ottenuto niente e che sicuramente vedono solo la parte buona ma non quanto sia incompetente.

Ho paura. Ho paura del buio profondo dell’anima, la paura del padre che non sa se potrà garantire il pane alla propria famiglia.

Devo ripartire, ma ho paura.

Oltre la soglia

Sono passati tanti mesi da quei momenti, mesi durati più di un anno nel mio spirito, mesi che mi hanno insegnato molte cose.

Ed è oggi che con questo messaggio lancio un nuovo marchio e rendo pubblico il percorso, aspetto che ho evitato di fare per molto tempo per la paura di mostrarmi troppo fragile.

Oggi comincia l’era di Ad Limen Consulting, il nuovo progetto di consulenza che ho sviluppato a 4 mani con un’amica che ho avuto la fortuna di incrociare anni fa, Alexia.

Ad limen significa “verso la soglia”. Il nome completo sarebbe Ex limine, ad limen. Il nostro “Ad” racconta di un attraversare una nuova soglia. La soglia è un simbolo che è rimasto molto presente nella nostra storia professionale. La soglia della conoscenza, un limite invisibile che spesso non ci permette di capire il limite di quello che è vero e quello che il nostro cervello di “mostra” come vero. La soglia intesa come un ostacolo da superare, per intendere tutti quegli ostacoli che limitano la crescita dell’azienda che vanno risolti o gestiti, puntando a scegliere e comprendere quelli veramente importanti. La soglia a cui un’azienda si plafona. Per cui noi la spingiamo da una soglia verso e attraverso una nuova soglia, scalabile.

E ho atteso tanto perché volevo un marchio, volevo dei siti internet dove raccontare il marchio.

Per questo oggi lancio ufficialmente il “nuovo” matteocervelli.com, che è il mio spazio e il mio blog, finalmente in italiano dopo tanti anni di solo inglese. Nasce con questo messaggio una newsletter nuova, in italiano e inglese, che troverà spazio sul sito e con cui voglio raccontare dopo aver reso pubblico il passaggio.

E lancio adlimen.com, il sito dove convoglieremo la nostra base di conoscenza e i nostri servizi e prodotti. Il sito adlimen è ancora a uno stato embrionale, ma almeno chi leggerà la mia email professionale e vorrà scuriosare troverà qualcosa di esistente.

E questi siti rappresentano una rinascita. Perché li ho scritti io, da zero, in ogni singola pagina e codice. Per sapere come l’ho fatto, puoi esplorare questa pagina e per sapere come uso l’AI, puoi leggere questa pagina.

I vecchi articoli in inglese li sto riscrivendo, piano piano, e torneranno alla luce, tradotti, nelle prossime settimane.

Quello che ho imparato, quello che viene

In questo anno ho imparato ad avere coraggio. Coraggio di decidere e muovermi senza avere un paracadute pronto, il coraggio di scendere e di affrontare il giudizio senza difese.

Ho imparato quanto è difficile stare in piedi da soli. Da soli è brutto. Ma è anche libertà di scegliere ogni giorno. Mi sono mancate le email dei collaboratori, che nei momenti bui mi davano senso, urgenza e azione e che probabilmente mi hanno tenuto con lo scotch per più tempo di quello che capivo.

Ho aperto una partita IVA, e ho vissuto cosa significa la precarietà. Le tasse da pagare e il gestire conti fragili. In questo, ho trovato grande aiuto ad affidarmi non al solito giro, ma a un partner come Fiscozen che a un prezzo spettacolare mi ha dato una piattaforma per gestire la mia partita IVA semplificata facendomi risparmiare tantissimo tempo, con consulenze continue e alleviando la complessità. Piccola marchetta che meritano, davvero. Nella mia vita da consulente ho imparato a convivere con una frustrazione diversa. Ed è bellissimo quando ti viene accordata la fiducia e i progetti partono. Se ti interessa, questo è il mio link di invito.

Ho lasciato l’azienda della mia famiglia. Una medio grande-azienda con tanto da costruire. Ho imparato come si modificano i rapporti familiari di fronte in una famiglia che gira intorno a un business, ho sentito parole importanti e cambiato ruolo. E nonostante tutto penso di poter dire lucidamente che sono fortunato a vivere in questa famiglia che ha saputo leccarsi le ferite con grande trasparenza. Un grande grazie in questo devo farlo nei confronti di mio zio che ha mostrato un grande stoicismo e da cui posso dire di aver potuto imparare e osservare ed è un privilegio.

Ho fatto un percorso psicologico e ho capito che non era una cavolata. L’ho fatto soprattutto grazie a Serenis, che mi ha permesso di scegliere, che mi ha dato una piattaforma meravigliosa e che mi ha condotto a Francesca, la mia psicoterapeuta che mi ha insegnato tanto delle mie relazioni, mi ha fatto vedere e se oggi sono in piedi sulle mie gambe è grazie alla sua pazienza e al suo approccio scientifico. Nel link trovi il mio invito, che ti dà due sedute gratuite. Tutti hanno qualcosa da raccontare e bisogno di qualcuno che vi ascolta. La psicologia è incredibile, provala.

Ho imparato a usare l’intelligenza artificiale, sono andato a fondo e ho trovato il mio modo. Se non la stai ancora usando, non sai cosa ti perdi e non sei più aggiornato. Di sicuro. Ecco come la uso in questo blog. E verranno altre cose. Se non sai dove partire, parliamone.

Ho investito in un’azienda e ho organizzato eventi, come quelli del Business Angel Club a Pisa. Ora sono Matteo Cervelli, ingegnere e consulente per la scalabilità delle imprese. Ho dato anche un senso al mio titolo da Ingegnere. E ho imparato a gestire i soldi, a investire. In questo, devo dare un grande merito, tra le tante fonti, al canale di Giorgio, alias Mr. RIP che mi ha aiutato a capire molte cose.

Ho imparato a distinguere meglio le cavolate che vengono dette, le competenze non che non ci sono e i modelli vuoti. Ho conosciuto una lunga lista di persone, alcune di valore, altre meno che alla fine dei conti mi sono servite a capire che non sono proprio il più stupido di tutti e che la mia missione e quello in cui credo hanno valore. Il pensiero critico e il dubbio sono stati le mie medicine. Senza questo salto nel vuoto, non avrei davvero capito.

Ho organizzato molte formazioni e lezioni e anche qua ho capito che la conoscenza accademica, la conoscenza profonda, vale molto di più di quello che l’ondata dei social media vuole farci credere. Investi, sempre, nella conoscenza profonda. Fai ricerche, dubita, scopri le cause e vai a fondo.

E in un’epoca di grandi cambiamenti e di una situazione geopolitica balorda, con leader che vanno a sparare propaganda e a nascondersi dalle critiche con fare assolutista, ho capito che l’unico assoluto che ha il potere di guidarmi e di cui ho bisogno è Dio. In lui confido. Ci siamo incontrati di nuovo. O meglio, sono tornato ad ascoltarlo nel mio cuore. Ed è la mia consolazione.

Quello che vale

In questo anno di cambiamento, ho avuto il privilegio di essere di nuovo padre, da capo, e di vivere mia figlia che non ho vissuto (Covid a parte) Emma e Maria. Anna è stata il più grande dono che potessi avere in quest’anno, perché nella sua semplice presenza tutto diventa luce. Emma, Maria e Anna sono luce. Una luce che a volte si offusca e mi scuso con loro per tutto il brutto che hanno visto di me. Dei mal di pancia che ho dato loro, delle volte che mi hanno visto piangere e non rialzarmi, appoggiato ai mobili in cucina o per terra come un bambino capriccioso.

Mi hanno sorretto con le loro diversità, perché mi davano ritmo. Mi hanno fatto pensare di non saper essere padre e in questo ho imparato che non si è genitori per competenza, ma solo grazie alla relazione che ci lega ogni giorno, che cresce, evolve.

Emma ha fatto 6 anni, e per la prima volta ho sentito il peso del tempo. Andrà a scuola e sento già che non è più “mia”, non la controllo. Lo stesso avverrà, se Dio vorrà, con Maria e Anna.

E io le amo, con tutto il cuore. E spero di poter essere per loro padre.

In questo anno ho vissuto la tragedia della malattia di mia mamma. Una tragedia che parte da lontano, o forse da troppo vicino, nel tempo. Ho vissuto il rifiuto che lei ha vissuto, la difficoltà di essere te stesso, gli amici che ti dimenticano. E quelli che restano. Ho vissuto quanti non riescono a parlare con una persona che non sa parlare e te lo dicono come una giustificazione. Li capisco, perché si è nudi di fronte alla malattia.

Ma la malattia è una cosa personale, una risacca di terrore che ti cresce dentro, uno stare sempre con la paura della fine, di una storia che non potrà essere di nuovo bella. Ma solo perché bello è quello che noi definiamo tale. Perché in questa malattia ho capito che l’unica vita degna di essere vissuta è quella della discesa, della Croce. Anche se Dio non esistesse, cosa che mi risulta difficile da dubitare, anche in quel caso la vita migliore da vivere sarebbe quella dello sbeffeggio, del giudizio, dello sguardo di superiorità, del dimenticarsi di te. Perché è laggiù in basso che potremo scoprire i bisogni del nostro fratello. E rendersi servi, discepoli dell’Amore, l’unico vero motore che ci raccoglie in braccio e ci accompagna verso la Vera Gioia.

Dio dammi la Croce e aiutami a portarla.

Ho riscoperto nella malattia di mia mamma cosa significa essere figlio. Cosa significa il dolore sordo e il valore del tempo. E spero di poter essere per lei una spalla, in un nuovo rapporto in cui a volte sono padre lei che è stata madre per me. C’è una luce forte nella tenebra, nella tentazione di mollare tutto e credere che il demonio domini il mondo. E lo fa, è il Suo mondo, perché il nostro mondo è nascosto. L’essenziale sta nel cuore della relazione, di sentirsi unici. E io mi sento unico. Per mia mamma, sono unico al mondo.

Lo sono per lei, lo sono per le mie figlie.

E lo sono per mia moglie. Lei che è inizio e fine della mia storia. In lei che ho scelto di legare la mia esistenza 10 anni fa (ricorrenza peraltro di questo anno) e che prego che il Signore mi conceda in moglie per l’eternità. L’amore che divora, che consuma. Che ha consumato la nostra relazione con tanti punti di rottura, e che ci insegna la capacità di piegarsi e ripartire sempre, di ricostruire, di dirsi i segreti del cuore e di esserci. Da amici. Da amanti. Da amati. Unici, insieme, in Dio.

Sara, ti amo e tutto quello che la mia vita mi dà di buono viene con te che mi hai sorretto. In tutto, quest’anno ho imparato la lezione più importante. Che sei per me soffio di vita, e che tutto quello che mi serve davvero è il tuo amore. Imperfetto e fragile, ma che trae fonte dall’Amore di colui che ci ha scelti prima di noi stessi.

Che il nostro amore ci preservi.

Che il nostro amore sia bellezza, bellezza che cambia il mondo e che lo rende un posto migliore.